In occasione del restauro delle Due Torri, sostenuto e promosso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, in collaborazione con il Comune di Bologna, “Torri Contemporanee” è un programma di residenza promosso da Nosadella.due in collaborazione con Articolture che vede invitati i tre artisti Beatrice Catanzaro, Søren Lose e Andrea Nacciarriti a intervenire sulle facciate di tre torri storiche della città con tre progetti appositamente commissionati.
Gli interventi temporanei prevedono la rilettura del patrimonio turrito attraverso lo sguardo non convenzionale dell’artista contemporaneo, che, utilizzando linguaggi e codici nuovi, si concede ripensamenti fantastici a servizio della storia e del nostro passato. Le opere creano quindi una sottile e giocosa alterazione del tessuto urbano, capace di scardinare l’abituale percezione di luoghi familiari, attirando da un lato l’attenzione dei bolognesi e dall’altro la curiosità dei turisti.
La Torre Alberici (Via Santo Stefano, 4)
Dove un tempo esisteva la vecchia dogana cittadina, ora ci si imbatte nel Palazzo della Mercanzia, progettato sul finire del 1300 dallo stesso architetto della chiesa di San Petronio. Alla sua sinistra, gli antichi palazzi dai portici in legno cominciano a dare memoria della Bologna medievale e poco oltre si scorge la Torre Alberici. La famiglia la eresse nel XII secolo: purtroppo i suoi 27 metri d’altezza sono rimasti per lungo tempo soffocati da un modesto edificio che ne nascondeva la vista e solo nel 1928, grazie ad un accurato restauro delle case adiacenti, ha ritrovato l’antico respiro. Fortunatamente, ancora oggi è possibile vedere la suggestivissima bottega con serraglia di legno a forma di ribalta, mantenuta durante il restauro al posto della base originaria. Si dice che sia la più antica di Bologna, risalente al 1273, al tempo realizzata per 25 lire: i lavori hanno comportato la scarnificazione dei muri, come si usava fare per ampliarne lo spazio interno. Lo spessore originario dei muri lascia per contro pensare che la Torre stessa potesse essere inizialmente più alta. E’ probabile che in epoca successiva sia stata poi abbassata per ridurne il peso e per lo stesso motivo, nella medesima occasione la sommità è stata trasformata in altana. Allo stesso modo, la torre reca traccia ben visibile sulla facciata dei tipici fori da ponte della Bologna medievale, e alcuni covili: i primi servivano da ancoraggio per le impalcature del cantiere di costruzione della torre stessa, i secondi, più grandi, per incastrare travi di legno per il labirinto di ballatoi, scale e solai che mettevano in comunicazione i vari piani della torre, o la torre con le case e le torri vicine, di consorti o famiglie amiche.
Il progetto: Scaffolder/ponteggio
A Bologna Beatrice Catanzaro interviene sulla Torre Alberici, di cui approfondisce ed esalta il punto di vista storico ed architettonico. L’installazione propone un parallelismo tra le tecniche costruttive medievali, che prevedevano l’utilizzo di travi in legno per la realizzazione dei ponteggi, di cui i fori quadrati presenti sulle facciate delle torri ne sono un segno tuttora visibile, e le attuali impalcature in bambù, materiale flessibile e resistente, normalmente utilizzate nei cantieri dei paesi del sud est asiatico.
L’opera getta quindi un ponte ideale tra la Bologna medievale e la Cina di oggi, utilizzando il bambù come elemento contemporaneo e straniante , che mentre rievoca le antiche tecniche edificatorie, avvicina due culture non più così distanti.
L’artista: Beatrice Catanzaro
Nata a Milano nel 1975, vive e lavora a Lisbona. Realizza azioni e interventi di arte pubblica con particolare interesse per le dinamiche socio-politiche, che caratterizzano l’evoluzione della società contemporanea. I suoi progetti mostrano un comune denominatore: la profonda sensibilità verso le problematiche urbane e sociali, evidenziate con ironia e leggerezza attraverso la pratica artistica. Beatrice intreccia storie, percezioni, significati e luoghi accostando realtà talora lontane e dissonanti, ponendo l’accento sulle contraddizioni e sui paradossi dei diversi contesti urbani e sul modo con cui gli abitanti vi si relazionano.
Diplomata all’Accademia di Belle Arti di Brera in Pittura, partecipa al Master in Arte Pubblica e nuove strategie artistiche all’Università Bauhaus di Weimar con un programma di scambio alla Brookes University di Oxford. Tra il 2003 e il 2004 partecipa al programma di residenza della Fondazione Ratti e alla residenza artistica internazionale Unidee a Cittadellarte – Fondazione Pistoletto.
La Torre Lambertini (Piazza Re Enzo)
Bisogna osservare Palazzo Re Enzo da via Rizzoli per scorgere, con un po’ d’attenzione, la sagoma della torre Lambertini, incastonata – e mimetizzata – proprio sullo spigolo nord orientale del Palazzo. Si tratta più propriamente di una casatorre, che venne acquistata nel 1294 dal Comune di Bologna per ingrandire la sua residenza, formata dal palatium vetus – l’antecedente complesso del Podestà, e il palatium novum, il cosidetto Re Enzo. Famiglia guelfa di molto peso nelle cruente contrapposizioni per il potere della Bologna comunale, i Lambertini contribuirono fortemente alla cacciata dei Lambertazzi, gli esponenti ghibellini in città, avvenuta nel 1274 dopo più di quarant’anni di zuffe, incendi e saccheggi. Ma soprattutto a loro è ascritta la celebre cattura di Enzo, re di Sardegna e figlio dell’imperatore Federico II, che passò la sua restante vita rinchiuso nel palazzo, cui quanto meno venne lasciato il suo nome. Terminata la stirpe, a ricordare il passato illustre della famiglia è rimasta solo la torre, edificio sostanzialmente esile, di 25 metri, rimaneggiato nei secoli. Altana, porte e finestre sono state realizzate in tempi diversi, senza ovviamente considerare l’apertura al pianoterreno. Originali dovrebbero essere la porticina col balconcino e la finestrella più piccola, visibili sul prospetto orientale, cioè le uniche aperture che possano ritenersi del XII secolo. Infatti la grande porta e le finestre più ampie hanno uno stile più moderno e sono state presumibilmente realizzate quando la torre è stata assegnata al Capitano del Popolo, la magistratura cittadina del 1255. Incorporata nel palazzo, ha subito ovvi riadattamenti interni. Altri ne sono occorsi un cinquantennio dopo, quando il palazzo è divenuto prigione, prima femminile, poi per gli stessi Capitano del Popolo e Podestà. Poi ancora: sede del primo orologio meccanico pubblico, di cui anche ora, guardando in alto sempre sul lato di levante, è possibile notare le due grosse mensole che lo reggevano. Altri interventi sono riconducibili ai primi Novecento, sotto le direttive di Alfonso Rubbiani, connotati da un restauro “in stile” che oggi rende difficile distinguere ciò che è autentico e ciò che non lo è.
Il progetto: Unperfect Structure
L’intervento pensato per la Lambertini prevede il rivestimento parziale delle due facciate della torre con lamelle di polistirolo, che ricordano gli elementi di una architettura moderna collassata su sé stessa e ridotta ormai a rovina archeologica. La torre medievale a cui i pannelli si appoggiano è al contrario solida e massiccia, in grado di resistere al passare del tempo. L’artista invita a riflettere sul paradosso dello sforzo conservativo attuale che, rivolto esclusivamente all’antico, trascura i monumenti moderni, lasciandoli spesso in uno stato di abbandono e degrado.
L’artista: Søren Lose
Nato in Danimarca, a Nykøbing Falster, nel 1972, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Copenhagen, vive e lavora a Berlino. Principalmente con la fotografia, ma anche col video e con l’ installazione, cercando un’interazione fra i diversi linguaggi con cui esplora il tema del viaggio e quindi del tempo. Le sue opere rivelano una profonda sensibilità verso i sentimenti malinconici – dal sapore ottocentesco – ispirati dalla visione di rovine architettoniche, rievocazione di quell’atteggiamento romantico comune a molti artisti del Nord Europa. Allo stesso tempo, però, l’artista è attento e interessato alla lucida e rigorosa bellezza delle forme architettoniche moderne e quindi la sua poetica è un continuo confronto tra antico e presente. Nelle sue opere architetture passate e moderne si scontrano, dialogano fino a fondersi, fino a creare nuovi ibridi, dando vita ad un tempo irreale e sospeso.
Nel 2008 espone in Italia per la prima volta, a Milano presso la Galleria Riccardo Crespi e a Berlino, sua città adottiva, installa Abendland nello spazio Künstlerhaus Bethanien.
La Torre Uguzzoni (Vicolo Mandria – Ghetto ebraico)
Varcando simbolicamente uno dei “cancelli” di quello che per secoli è stato il ghetto ebraico di Bologna, una quiete insolita accoglie il passante che arriva da via Oberdan o da piazzetta San Simone, e si immette tra vicolo Tubertini e vicolo Mandria, in vie spesso ignote alla maggior parte degli stessi bolognesi. Questo scorcio urbano, nei suoi paesaggi cupi e gli stretti androni, più di altre vedute rievocano la grevità della Bologna Medievale. Su vicolo Mandria, una volta di mattoni scuri, e sulla sinistra, in tutta la sua sinistra bellezza, la Torre Uguzzoni, incastonata in un angolo che sembra non aver conosciuto il passare del tempo. Trentadue metri, su una base molto ampia, rivestita di blocchi di selenite disposti a filo dei muri e non a scarpa, come di norma. In cima è visibile un’altana che corona l’edificio, ma sicuramente postuma, di epoca sei-settecentesca. E ancora, l’antica porta che si apre sullo zoccolo, con il consueto architrave in selenite sormontato da un arco a sesto acuto in mattoni; le due finestre, una ad arco tondo sulla sinistra e un’altra, anch’essa arcuata ma più centrale. Questa diposizione disassata delle aperture fa propendere per una casatorre, piuttosto che una vera e propria torre. Sotto la finestra del primo piano, i 5 netti fori da ponte, che evidentemente reggevano le travi in legno del ballatoio, completano questa fotografia quasi realistica di un tempo che fu.
Il progetto: Untitled (Quelli di Cernauti)
Andrea Nacciarriti interviene sulla Torre Uguzzoni espandendone i confini spaziali nella terza direzione, attraverso l’innesto di un elemento estraneo e decontestualizzato. La visione delle incisioni medievali, in cui uomini si gettano dalle torri in fiamme o vengono defenestrati, e il ricordo dell’immagine universale e tragica delle vittime dell’11 settembre che si lanciano dalle Torri Gemelle, hanno provocato nell’artista la necessità di architettare un sistema salvifico, via di scampo per la torre antica come per il grattacielo contemporaneo. Ecco che una porta da calcio regolamentare rovesciata funge da rete di salvataggio, per salvare simbolicamente i prossimi caduti: un concetto forte esplicitato da elemento molto caro alla bolognesità sportiva. L’opera diventa un monumento, che l’artista decide di dedicare alla memoria del calciatore del Bologna Rino Pagotto e alla sua squadra improvvisata durante la deportazione nei lager nazisti. Quelli di Cernauti, appunto, al tempo Chernivtsi, città dell’attuale Ucraina, che nello sport trovarono una via d’uscita dall’orrore della guerra.
L’artista: Andrea Nacciarriti
Nato a Ostra Vetere nel 1975, vive e lavora a Senigallia. I suoi lavori si distinguono per la serrata relazione con il contesto ambientale e architettonico da cui l’intervento trae ispirazione: sono astrazioni geometriche che si inseriscono e interagiscono con lo spazio che le accoglie, oppure protesi e sovrastrutture – monumentali ready made – che ne alterano la percezione. La linearità e l’essenzialità dei colori e delle forme non sono tuttavia per l’artista un limite all’esplorazione di significati antropologici e sociali. Ne è un esempio il filone di opere suggerite dalla sua passione personale per il calcio, disciplina sportiva e allo stesso tempo fenomeno sociologico, di cui riprende il lessico, popolare ed immediato, per poi riadattarlo come medium comunicativo delle sue opere.
Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna, dopo un periodo di residenza e studio a Bilbao, partecipa al Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como.