Per la nona edizione di Archivio Aperto, rassegna dedicata alla rilettura e rielaborazione del cinema privato, Nosadella.due e Home Movies – Archivio Nazionale del Film di Famiglia presentano la mostra con i progetti artistici vincitori dell’art contest Matrimonio all’Italiana.
Il matrimonio con i suoi rituali e le sue tradizioni apparentemente immutabili è uno dei soggetti principali dei film conservati nell’archivio di Home Movies, che ne conta diverse centinaia coprendo un periodo storico che va dagli anni Venti alla fine degli anni Ottanta. L’art contest si propone come occasione per farli rivivere attraverso l’interpretazione di artisti che hanno proposto opere ad hoc ispirandosi ai materiali dell’archivio.
In una location d’eccezione quale l’ex Atelier Corradi in Via Rizzoli 7, sotto le due torri a Bologna, una sartoria per abiti da sposa della metà degli anni Cinquanta che conserva ancora arredi e attività originali, la mostra ospita i lavori di Fabio Giorgi Alberti, Francesco Carone, Flavio Favelli, Fratelli Broche, Eleonora Quadri, Mirko Smerdel.
La famiglia e la sua consacrazione matrimoniale è forse l’istituzione che più ha caratterizzato nel tempo l’identità nazionale, e ancora oggi è un “valore” che non viene meno, pur nelle sue profonde trasformazioni. Ma che cos’è diventata e come si è evoluta?
La mostra si propone di offrire uno sguardo alla storia del rito nuziale per leggerne codificazioni e variazioni, riconoscere un immaginario, contesti, ambienti, pose e gestualità che sono entrati a far parte della nostra idea di Matrimonio all’italiana, e ripensarne le evoluzioni, anche rispetto ai cambiamenti civili, religiosi, sociali e culturali in atto. Si tratta tuttavia di uno sguardo a distanza, di una lente che si avvicina e si allontana, attivando da un lato il nostro senso di appartenenza, dall’altro generando un processo di straniamento dovuto a volti non noti, a tempi passati e a pratiche che, viste da fuori, paiono bizzarre o desuete. Nelle immagini d’archivio di questi momenti privati sono ammessi solo i ricordi felici, ma dietro ad essi, il prima e il dopo di ogni scena immortalata e consegnata alla storia, alla propria storia privata come a quella collettiva, intuiamo l’assenza delle immagini mancate o, meglio, di quelle volutamente mancanti.
Gli artisti in mostra hanno dato una loro personale lettura al tema appropriandosi dei materiali messi loro a disposizione dall’archivio di Home Movies e facendoli parlare una nuova lingua anche grazie ai diversi supporti utilizzati.
L’opera che apre la mostra, 11 settembre 1966 di Flavio Favelli è un murale impermanente tratto dal menù di nozze dei suoi genitori. Accanto, una foto dell’album nuziale riprende gli sposi in una di quelle usanze tipiche della borghesia cattolica bolognese di far visita al Santuario del Baraccano per “prendere la pace”. Immagine che ricorre più volte anche nelle pellicole di Home Movies e che l’artista ha trasformato, dunque, in un poster seriale: “il matrimonio – ci dice Favelli riferendosi all’unione dei genitori – sì è interrotto tramite separazione nel 1975 e dissolto, tramite annullamento, nel 1978, anno dei Mondiali di Calcio in Argentina. Un ritratto spietato della vacuità di una celebrazione formale che necessita di codificarsi mediante rituali e ruoli che ne schiacciano ogni autenticità”.
Di fronte, quasi di riflesso, il video That Strange Moment di Fabio Giorgi Alberti ci mostra, con un’abile operazione di editing, un catalogo di scene matrimoniali, dall’arrivo degli sposi all’ingresso in chiesa, i genitori, i bambini, i sorrisi, i baci, il lancio del riso e naturalmente quello del bouquet, dettagli degli abbigliamenti e dei banchetti. Spostando l’attenzione dall’evento in sé alla sua documentazione e riportando scene del passato all’oggi proprio nella modalità attraverso cui un evento viene fruito, l’artista genera un interessante inventario o, se vogliamo, una “galleria di immagini” che mostra differenze sociali e comportamentali dei protagonisti, come i diversi ritmi e colori dei mezzi stessi di documentazione. L’opera diventa così non più solo un excursus sul rito del matrimonio, ma piuttosto una riflessione sulla pratica di documentarlo e sulle varianti che si sono susseguite nel tempo.
Di simile approccio il lavoro di Mirko Smerdel Where Even the Darkness is Something to See, che però fa sulle immagini d’archivio un lavoro di editing al contrario, montando oltre sei ore di “ritagli” di film di famiglia di Home Movies, con un audio appositamente realizzato dal musicista Federico Mengoni. A partire dai frammenti dei film originali, l’artista si pone l’obiettivo di indagare l’uso della fotografia e del video amatoriale come forma di rituale pubblico esso stesso, e come traccia dunque fondamentale di storia materiale di una quotidianità perduta. Ponendo lo sguardo di un privato al servizio di un linguaggio universale l’aspetto narrativo del film di famiglia viene meno a favore di una frammentazione che rispecchia l’arbitrarietà di ogni storia.
Di tutt’altra natura e umore è l’azione performativa Dinamiche di Matrimonio dei Fratelli Broche, che, proposta in un’unica replica, domenica 13 novembre, riflette in chiave decisamente contemporanea sul rito stesso del matrimonio e su come il suo significato si sia evoluto nel tempo anche rispetto ai cambiamenti in atto nella società. Adottando un linguaggio e una simbologia decisamente diversi da quelli che intravediamo sul fondo, appartenenti ai film amatoriali, la performance metterà in scena la celebrazione di nuova ritualità che, sebbene diversa, soprattutto nei ruoli, non farà altro che ribadire il senso primo del matrimonio, ovvero l’unione dei due soggetti. Ad accompagnare la performance, durante gli altri giorni di mostra, un’installazione ambientale di cake topper dialoga con i video di Home Movies e alcune immagini fotografiche appartenenti all’archivio privato dei Fratelli Broche: “sono immagini che rappresentano le nuove tribù familiari – dicono gli artisti -, identificative di momenti della nostra vita artistica e di nucleo familiare, divise per tematiche e abiti che ciascuno di noi indossa. Le nostre foto di famiglia.”
Lungo tutto il percorso della mostra si incontrano poi le sculture della serie Amori (“Amore a Psiche”, “Pigmalione e Galatea”, “Sarcofago degli sposi”, “Doppio ritratto di giovane coppia”, “Ritratto dei Conuigi Arnolfini”, “Baudelaire et la President Sabatier”) (2011-2016) in cui Francesco Carone riproduce in forma astratta un gesto di contatto tra due amanti ispirandosi all’immaginario che la storia e la storia dell’arte hanno lasciato: “Sono sempre stato interessato alle diverse forme di contatto fisico tra gli amanti – dice Carone – al modo in cui essi si toccano e a come questo, cambiando, sia stato rappresentato e interpretato durante la storia… Mi piace credere che con questi lavori io stia scolpendo non tanto delle ‘forme’, bensì dei ‘contatti’ tra le forme.” La serie Amori si rifà ad alcune immagini di amanti della storia dell’arte ormai celebri nella nostra memoria, da cui i titoli delle singole sculture. Venuta meno l’immagine, la tensione erotica si condensa in quella piccola superficie di unione che celebra il contatto tra le due parti. A queste Carone ne ha aggiunte altre che, sfogliando le immagini d’archivio dei matrimoni, si ispirano a quelle variazioni che gli sposi propongono nel toccarsi, sfiorarsi, abbracciarsi, baciarsi, prendersi sottobraccio, ecc, determinate, evidentemente, non solo dalla singola predisposizione dei soggetti, ma anche da fattori sociali, psicologici, geografici, culturali. L’immaginario del cinema amatoriale diventa così una nuova fonte iconografica, al pari della storia dell’arte, per celebrare l’unione degli amanti.
La mostra si chiude con l’immagine guida del lavoro di Eleonora Quadri Arbor eris certe mea [proiezione], il volto di una sposa in primo piano catturato durante i festeggiamenti, proveniente dal fondo Pietro Nicoletti del 1964 di Home Movies. Isolando, sovradimensionando e traducendolo il frame su un supporto di tela che le dona la nobiltà di un ritratto pittorico assieme al titolo tratto dal celebre mito ovidiano di Apollo e Dafne, l’artista trasforma questo volto in un’immagine sacra, icona del “matrimonio”. Solo intercettando lo sguardo diretto della sposa si incontra invece l’unico spazio originario di un corpo oggetto del travestimento nuziale in corso: “Sottratto allo scorrere continuo della pellicola – spiega la Quadri -, il fotogramma fissa l’istante in cui, sguardo in macchina, la sposa si arrende al rapporto diretto con la ripresa, complice del suo divenire immagine, riflesso di un modello di vita e di aspettative.”