Nata nel 1996 la biennale Manifesta giunge quest’anno alla sua nona edizione posizionandosi tra i progetti più innovativi all’interno del sistema dell’arte contemporanea, quanto meno europeo, per la sua capacità e strategia nel porsi come “piattaforma di trasformazione sociale” su un territorio specifico e nel funzionare come “catalizzatore di cambiamenti nelle politiche culturali locali e, nello specifico, come generatore di nuova energia nella comunità artistica locale”. (Hedwig Fijen, direttore della Fondazione Manifesta)
Il 2 giugno (fino al 30 settembre) apre al pubblico la prossima edizione, The Contemporary at the Service of the Past, che avrà luogo a Genk, in Belgio, a cura del messicano Cuauhtémoc Medina, in collaborazione con Katerina Gregos e Dawn Ade. Come dice il titolo, questa biennale affronterà il tema della storia, di come il presente si relaziona al passato, o, meglio, delle difficoltà che il pensiero odierno ha nel farlo, in bilico tra il recuperarne modelli e il porsi necessarie alternative.
Per la prima volta la mostra avrà luogo all’interno di un’unica sede, l’ex complesso minerario di Waterschei, e proprio da qui prenderà spunto il lavoro di artisti e curatori coinvolti: una regione storicamente caratterizzata dalla presenza di miniere di carbone diventa pretesto per indagare la storia dell’industrializzazione come origine del capitalismo moderno e gli effetti che il modernismo ha avuto sulle nostre vite attuali.
Il passato è meno attraente di quanto lo sia mai stato. La conoscenza storica è in declino e la memoria sociale sta diventando storia – dice Medina al Manifesta 9 Coffee Break tenutosi lo scorso 9 e 10 dicembre al Casino Modern di Genk – mi interessa presentare un’analisi delle attuali contraddizioni dell’arte contemporanea che si basa su ricerche storiche (…) riportando in vita il compito della memoria e le diverse cronache sociali.
Biennale itinerante in contesti ogni volta differenti ma di estensione regionale e non solamente cittadina, Manifesta è un progetto che ha sempre lavorato a partire da, e cercando di far emergere, questioni, criticità, eccellenze di un preciso territorio per lo più ai margini del mainstream culturale.
Così, nel tempo, ha sempre più delineato i suoi punti di forza in un lavoro artistico e culturale community based, nel proporsi come attivatore di processi anche sociali su un territorio, nell’indirizzarsi ad aree periferiche laddove è necessario stimolare una maggiore consapevolezza nei confronti della conoscenza, nell’allargarsi ad un pubblico il più ampio possibile e dunque nell’adoperarsi per processi di inclusione sociale. Ma ancora più rilevante, forse, e certamente decisiva nel periodo attuale, rimane la formula insita nel progetto stesso, ovvero la tendenza costante al rinnovamento di strategie e progettualità, il porsi ogni volta delle sfide nuove non dando mai per scontato alcun esito.
Manifesta porta in un determinato contesto specialisti al top di ambiti culturali, dal management alla curatela, mescolandoli con produttori culturali junior delle regioni in cui opera, in modo da trasferire conoscenza attraverso la creazione di squadre sinergiche – dice la direttrice. E lo stesso fa col pubblico – il 70% dei nostri visitatori viene dalla regione stessa e di questi il 10% partecipa alle attività educative e di mediazione.
Coordinando le attività da Amsterdam e lavorando sempre con operatori locali reclutati e formati nella regione d’azione, il formato di Manifesta prevede ogni volta anche curatori diversi, che incrementano un ragionamento sulle pratiche curatoriali più innovative (ragionamento che confluisce in pubblicazioni importanti ai fini dello sviluppo teorico, tra cui il Manifesta Journal / www.manifestajourmal.org)
Per ogni nuova biennale – dice ancora Hedwig Fijen – invitiamo un team di curatori esperti a ripensare e re-inventare la struttura di Manifesta e ad avanzare nuove idee e metodologie curatoriali. Nella procedura di selezione i candidati devono fare ricerca sui siti della biennale, per essere poi in grado di farci una proposta precisa che nasca da una reale intuizione sul contesto della regione, sulla sua storia e la sua comunità come sulle possibili location individuate con le loro implicazioni storiche e geo-politiche.
Il questo modo Manifesta costruisce ogni volta un lavoro sul territorio sviluppando, nei suoi stessi abitanti, una nuova consapevolezza rispetto al suo patrimonio, alla sua storia e alla sua attualità, attivando processi di riqualificazione di spazi e rigenerazione di aree pubbliche che anche dopo la biennale vengono portati avanti dalle amministrazioni locali o da privati.
Pensiamo a come in Andalucia, per Manifesta 8, siano emersi gli esiti che 1000 anni di influenza araba hanno avuto sulla civiltà europea e sulla sua fobia islamica – ricorda Fijen – (…) Noi lavoriamo principalmente nella periferia d’Europa, in cui non c’è una tradizione di arte contemporanea né si ha a che fare con le sue pratiche complesse. Occorre investire un gran lavoro in educazione e mediazione, cosa che il visitatore professionista o il critico d’arte venuti per l’inaugurazione non vedono né troverebbero così sexy. (…) Poi bisogna essere consapevoli del fatto che più si pretende dalla pratica artistica un impatto sociale, meno si riesce a provarlo. Occorre dunque chiedersi come ridurre le aspettative di partenza rispetto a un contesto in cui si va a lavorare e come, nello specifico si possa misurare l’impatto delle pratiche artistiche sulle attività sociali.
Infine, sebbene certamente non secondario, non si deve dimenticare l’opportunità di crescita che Manifesta è in grado di offrire agli artisti, locali e non, portando i primi in dialogo con la scena internazionale e permettendo ai secondi, quelli invitati alla biennale, tra l’altro in buona parte giovani e spesso poco conosciuti, di produrre lavori al di fuori di ogni imposizione di mercato.
A Manifesta8 i lavori prodotti ad hoc sono stati l’83% – racconta ancora Fijen, che continua: numerosi artisti emersi dall’Europa “post muro” che non avevano alcuna visibilità internazionale, vi hanno avuto accesso grazie a Manifesta…se poi si dà un’occhiata ai nomi della prima commissione, questo vale a maggior ragione per i giovani curatori.
Sembra dunque non mancare proprio nulla al progetto diretto da Hedwig Fijen, eppure quando le viene chiesto se ci sono nuove sfide in corso è subito pronta a rispondere: c’è ancora molto lavoro da fare per migliorare i nostri obiettivi. Ad esempio, a parte forse l’occasione di Lubiana del 2000, il fatto di non essere ancora riusciti a sviluppare una biennale in una regione dell’Europa centro-orientale la sentiamo come una marcata omissione.