Quei graffi sui muri

sul lavoro "Urban Spray Lexicon" del collettivo teatrale Ateliersi

Da una città che lotta da anni, decenni, contro la violazione del muro “pubblico”, che vede susseguirsi amministrazioni che, ognuna a proprio modo, si ostinano, sebbene consapevoli dell’inutilità del gesto, a pulire e ripulire intonaci di palazzi, portici, colonne e serrande dai segni a spray che, dall’altra parte, gli avversari di questo duello, le giovani bande graffittare, persistono a comporre in un crescendo sempre diverso; da una città come Bologna, che vanta una tradizione più o meno legittimata di writers che proprio ora vengono scritturati dal Comune per comporre facciate intere di palazzi di periferie, e che sebbene desideri vantare questo primato non si trova ad esser poi tanto diversa da Milano, Roma o Zagabria; da queste strade, ovvero dalla strada, da questo luogo che è un alternarsi e altalenarsi di spazio pubblico e privato, di concessioni e appropriazioni, di voci, firme, legislazioni; da qui, dallo studio, dal loro rinnovato spazio Atelier Sì che dà il nome alla nuova forma che si è data il gruppo, non più compagnia teatrale ma collettivo di produzione artistica, ecco, dalla ricerca che da anni porta avanti sui luoghi di confine, Ateliersi fa nascere il suo ultimo ampio progetto: Urban Spray Lexicon.

Urban Spray Lexicon è un’esplorazione, un’esperienza, una raccolta, un’appropriazione e infine una rilettura in chiave drammaturgica e performativa di un lessico ignobile come quello delle scritte sui muri. Non è uno spettacolo teatrale, o, almeno, non solo, è una ricerca complessa che trova direzioni e forme molteplici per approdare a questo spazio irrisolto. È un tentativo di porsi nei confronti di segni che impregnano il paesaggio urbano contemporaneo, non per comprenderli, spiegarli, raccontarli, bensì per farli risuonare…

è dura ma via amo
cago sulle frontiere
evasione dall’esistente
non si dovrebbe essere mai soli
sogno di essere un imbecille felice
ieri ho finito gli esami oggi ho tanta paura…

Chi ci sta dietro queste frasi, questa infilata di parole spesso mal scritte, sproporzionate, volontariamente o involontariamente scorrette, oppure precise, sintetiche, scelte o, ancora, storte, minute, titaniche, accurate o invadenti…non lo possiamo sapere. Non c’è autore in queste voci, né spesso alcun intento autoriale o artistico. Chi decide di incidere parole su un muro lo fa per non parlare solo a se stesso, perchè quel muro è anche suo ma non solo suo. Lo fa per mettere nero su bianco quel raggio di pensiero o l’intera costellazione di un discorso nel suo passaggio dal privatamente stridente al pubblicamente invadente, per disturbare, richiamare l’attenzione su qualcosa che non vuole riguardi solo lui. Qualcosa che spesso suona come già sentito, che ripete, che è contro o a favore, qualcosa che spesso non ha alcuna pretesa in più dell’essere lì, su quel muro, qualcosa che spesso assume più valore per chi legge che per chi scrive.
Per chi scrive è nel gesto l’essenza prima del segno, è nell’atto del fare più che del dire. È il grado zero della rivolta, l’urgenza di lasciare un segno…

Spesso anche le case, le stanze, gli spazi loro privati, di questi anonimi scrivani, hanno i muri imbrattati di scritte, loro o di altri. Scordiamoci dunque che sia una moda. Gli stili cambiano, le regole anche, così come i caratteri, i temi e le altezze. Diverse statistiche confermano che si tratta anzi di un “fenomeno” in aumento. Improbabile dunque cercare anche di cimentarsi nella soluzione di una controversia che va avanti da sempre tra chi le scritte le vuole bandire e chi desidera adeguatamente confinarle. Certo è che le scritte rimangono e hanno origine molto lontana.

Urban Spray Lexicon inaugura il suo primo capitolo nel 2012. E’ Boia-concerto breve per imbrattamenti, voce e sintetizzatori (2012-2014), presentato nella sua prima forma ancora embrionale a Bologna nell’autunno del 2011 per il progetto Bologna al muro, quindi al Festival perAspera nel 2012, all’Angelo Mai di Roma nel 2013 e in numerose altre rassegne tra cui, lo scorso luglio al Festival di Santarcangelo dei Teatri, con la presenza “ofelica” di due giovani cinesi, Cherry e Giù arricchita dalla sonorità della lingua inglese, quindi, a seguire, alla rassegna Teatro a Corte di Torino, e che approderà a settembre a Rovigno, in Croazia per il festival BLITZ. Boia è un crescendo incalzante di parole e suono che da principio riverberano come battiti astratti, quindi mutano nei versi di un vero e proprio cantico che poco a poco si svela allo spettatore nella sua origine, risucchiandolo dentro a un vortice di frasi che si fanno via via sempre più riconoscibili, distinguibili, e che sebbene non coincidano esattamente con qualcosa di conosciuto risuonano alla fine come un’immagine visibile. È la città che prende forma. Il senso del discorso lascia spazio all’architettura solida, la parola al paesaggio. Boia è una raccolta, un’antologia, una collezione di materiali sfuggenti, mutevoli, disordinati, a cui viene dato provvisoriamente un ordine per comporne un poema. La voce di Fiorenza Menni che ne scandisce il ritmo, sola, amplificata, moltiplicata, diventa coro. È il coro di voci anonime che, come nell’antica Grecia, commenta la vicenda e dà voce al pensiero collettivo, ci dice da che parte stare, quali sono le parti in gioco, giudica e prende posizione.
In scena però la vicenda manca. Perchè la vicenda è là fuori, fuori dal palco, in strada, in città, è quella che conosciamo bene, la vita di ogni giorno tra delusioni e traguardi, l’esperienza che riguarda ognuno di noi e noi tutti insieme, è ciò che succede fuori e dentro i palazzi…
Così la troviamo in Se la mia pelle vuoi, il secondo capitolo del progetto, (di e con
Fiorenza Menni e Andrea Mochi Sismondi, in scena assieme a
Arianna Belloli e Alessandro Fantinato; presentato in occasione dell’ultimo Gender Bender Festival di Bologna a novembre 2013), laddove la ricerca di Ateliersi si è interrogata sull’origine del gesto che porta a scrivere sul muro. Il tema naturalmente è quello della comunicazione o, meglio, della non comunicazione e del nostro costante tentativo di rinnovarla, di accendere il discorso, la parola, il dialogo, mentre, al contrario la vita attuale ci conduce esattamente e paradossalmente dalla parte opposta.
Qui Ateliersi si interroga su ciò che precede l’atto di scrittura, sul tempo antecedente il momento in cui il grido s’inscrive sulle superfici…Dietro le scritte la vita: piccoli eroismi senza seguito, come ha scritto una volta Céline, forse, o un altro poeta d’assalto.
Siamo tra i palazzi e la gente di una città di grattacieli e luce sempre a giorno. Non può avvenire altrove… Se usciamo dalla città, se andiamo anche solo in una cittadina di provincia, o addirittura se arriviamo fino ad un piccolo paese, scritte e graffiti vengono progressivamente meno…certo ne rimangono, cambiano le dimensioni e gli interventi a spray diventano quasi opere di land art, visibili da una certa distanza o in relazione al paesaggio, ma l’imbrattamento è meno ossessivo, sistematico, dissacratorio.
Forse perchè i palazzi pubblici, quelli tutelati, i monumenti, i falsi i veri, i vecchi e i nuovi sono molti meno, forse perchè le case private sono più riconoscibili, forse perchè ci si conosce di più e si teme di essere riconosciuti, forse proprio perchè verrebbe meno l’anonimato, o perchè c’è meno bellezza monumentale da violare o, al contrario, è lo stesso paesaggio, più bello diremmo, magari arcadico, a non invitare allo sfregio. Forse perchè c’è più comunicazione diretta tra le persone, il circolo è più stretto, le cose da dire e da contestare non così vitali, forse perchè c’è meno libertà o, forse perchè ce n’è di più.
Vero è che il graffito, il graffiare il muro per dar voce alla propria opinione è un fenomeno che riguarda il paesaggio urbano, le mura, i muri della città.
Freedom has many forms. Note e notizie sul come e perché delle scritte sui muri, il terzo capitolo di Urban Spray Lexicon è una lezione paraccademica che inizia proprio con Brian di Nazareth che insorge contro i Romani scrivendo di nascosto “Romani andate a casa” proprio sul muro del palazzo del governatore. Siamo in una scena del film di Terry Jones coi Monty Python, e Brian, analfabeta, sbagliando la grammatica della frase, beccato dai Romani, verrà invece costretto a riscriverla, proprio come un somaro in classe, cento volte in modo corretto, ma il messaggio è chiaro: già un muro dell’epoca di Cristo è luogo ideale per far scattare la rivolta.
La lezione continua con altri spezzoni di film, immagini, commenti, costruendo una bibliografia e iconografia unica sul tema. A costruire e interpretare la lezione è Andrea Alessandro La Bozzetta che dalle denunce anticlericali della Roma del IV secolo ci conduce ai murales di Orgosolo in Sardegna, passando dalle rivolte sessantottine di Parigi e Milano in cui nasce il segno anarchico poi rubato dalla politica e dalla moda, e arriva fino al restauro del palazzo del Reichstag a Berlino nel 1992 dove Norman Foster sceglie di conservare gli imbrattamenti lasciati dai militari russi alla fine della guerra.
La scritta sul muro, questo atto che nasconde ragioni diverse ma che trova nella forma e nel contesto l’urgenza e la rapidità di un gesto comune che varca il confine tra l’individuo e la comunità a cui la scritta si rivolge, ha dunque radici in un passato che va molto lontano nel tempo e non accenna ad esaurirsi. Artisti, registi, scrittori…continuano a farsi ispirare da questi enunciati che nel loro stato spontaneo e liberatorio fungono da specchio del cambiamento in corso.
Le scritte fanno da sfondo a fatti, storie, fenomeni in transizione. Complice la lingua e il suo muoversi, la sua capacità e necessità di adattarsi alla rapidità del pensiero evoluto dell’uomo. Se il graffito diventa anche disegno, squarcio nelle architetture della città, quando rimane scritta l’immaginario si preserva. La scritta è in grado di condurci altrove, oltre quel muro, di aprire una finestra sulla vita di altri, sulla nostra, su quello stesso istante in cui ci accorgiamo di essa.
Chi scrive spesso si rivolge direttamente a chi legge, non scrive solo per se stesso, non è né cerca qualcuno di precisamente reale, aspetta chi passa, colui che passando sceglie di condividere quel pensiero, di aprire quel dialogo con uno sconosciuto. La scritta è un appello al pensiero collettivo, all’estrazione del senso e del non senso, un invito a disinibirsi, a liberarsi dalla convenzione della scrittura stessa…

bestemmia e liberazione
dappertutto in stile libero
deragliamento personale
comunque niente rimorsi
dormo poco sogno molto
scopata epica ti amo topo
in culo a tutte le ideologie

Ma come cambia la lingua?
Urban Spray Lexicon continua…affacciandosi, in una ulteriore fase di ricerca, direttamente alle finestre che questi segni aprono sui muri delle città. I materiali, divenuti un archivio di immagini e testi, una bibliografia, filmografia e iconografia, si adatteranno a nuovi luoghi in cui il progetto verrà proposto andando ad esplorare il fuori e il dentro di questa linea di confine che è “la parete pubblica”. Primo saggio di questa nuova deriva è stato Urban Spray Lexicon Open Class, un progetto laboratoriale promosso dal Festival di Santarcangelo dei Teatri sempre in occasione dell’ultima edizione, che si rivolge agli adolescenti, a quei ragazzini che sono i primi autori, questa volta sì, di segni in cui oggi si identifichino. L’attenzione cade infatti sulle tag, firme che non sono più bozze di discorso, urla vomitate in strada, parole visionarie e immaginifiche, graffi di rivolta, protesta, amore e lotta, ma che suonano al passante come sberleffi, selfie grafici, esercitazioni di “autori” che testano il proprio marchio per competere con quello altrui, con quelli pubblicitari, commerciali e istituzionali secondo regole precise, di spazi e ruoli in un contesto cittadino che funge da palestra, luogo di indagine, consenso e popolarità. Serrande, mattonelle di bagni più o meno pubblici, portoni, finestre, botole, nicchie, colonne…laddove sarà più difficile cancellarle.
La scritta sul muro d’altra parte convive da sempre con la sua stessa morte, nell’attesa della sua cancellazione, ma forse proprio questa temporaneità è l’essenza principale di questo vociare in continuo movimento.
…Quale segno resterà dunque mai davvero indelebile?